Soglie del linguaggio. Corpo, mondi, Società

Soglie del linguaggio. Corpo, mondi, Società
A cura di:  Adriano Bertollini, Roberto Finelli
Editore: RomaTrE-Press
Data di pubblicazione: giugno 2017
Pagine: 236
ISBN: 978-88-94885-19-4
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Abstract

Soglie del linguaggio. Corpo, mondi, Società, compie una ricognizione e una messa in comunicazione delle molteplici anime che nel Dipartimento di Filosofia, Comunicazione e Spettacolo lavorano, da prospettive diverse e da più anni, sulla tematica del linguaggio. Si è voluta creare così l’opportunità di un dialogo tra l’area di studiosi che guardano più al rapporto tra linguaggio e versante scientifico (biologia, etologia, neuroscienze, psicologia) e l’area volta più allo studio della dimensione sociologico-storico-politica, o fenomenologico-estetica, o psichiatrico-psicoanalitica, o, infine, di pensiero della differenza, con cui guardare all’esperienza linguistica. Partecipano al volume anche studiosi esterni, secondo lo spirito della collana Colloquia Philosophica, il cui intento è quello di facilitare un dialogo non solo all’interno del Dipartimento FILCOSPE, ma anche con altri esponenti della comunità scientifica che vogliano contribuire al confronto su temi e problemi comuni.

Contributi

Presentazione

Roberto Finelli

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/1

Contro la metafora. Deleuze e Guattari su Kafka

Daniela Angelucci

Secondo Deleuze e Guattari l’opera di Franz Kafka, trattata nel testo del 1975 Kafka. Pour une literature mineure, è l’esempio capitale di una letteratura in grado di ‘deterritorializzare’ la lingua, collegare l’individuale con il politico, avere immediato valore collettivo. Fare un uso ‘minore’ o ‘intensivo’ della lingua significa in primo luogo abbandonare un uso comunicativo, significante o simbolico, evitare metafore e interpretazioni psicoanalitiche o intimiste. L’articolo si occupa di questa caratteristica dell’opera di Kafka e sottolinea come la letteratura rappresenti una delle possibilità più grandi per cogliere la vita come divenire e immanenza. La letteratura può ‘controeffettuare’ il linguaggio, trasformandolo da simbolo da interpretare a semplice letteralità da esperire. Tale processo rende possibile una relazione con il piano della vita che non si risolva in una mera imitazione.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/2

Personale e subpersonale: una visione dialettica

Mario De Caro
Massimo Marraffa

In questo scritto descriviamo una forte tensione fra le scienze cognitive e la psicologia del senso comune. Da un lato alcuni scienziati cognitivi ridimensionano drasticamente l’introspezione, e con ciò sollevano un dubbio radicale sulla concezione ordinaria di noi stessi in quanto agenti coscienti: fatta eccezione per i dati percettivi, non si danno stati mentali coscienti. Dall’altro lato, l’etica ingenua – ricostruita dalla experimental philosophy– guarda alla coscienza come alla base fondamentale per attribuire responsabilità: l’agente è responsabile di un’azione se questa rispecchia una sua deliberazione cosciente. Dopo aver esposto questo dissidio, caldeggeremo l’adozione di una posizione intermedia tra il filosofo tradizionale, che continua ad attribuire un primato alla coscienza nell’azione a dispetto dei dati che emergono dalle scienze della mente, e lo scienziato (o il filosofo orientato empiricamente) che rivendica in modo eccessivamente unilaterale l’epifenomenismo per gli stati mentali coscienti. Un esempio di questa posizione intermedia può essere ricavato da alcune recenti riflessioni di Levy (2014) e Carruthers (2015), che mostrano come la neuroscienza cognitiva piuttosto che condurre all’epifenomenismo della coscienza, consente di articolare a grana più fine la dialettica fra elaborazione inconscia e riflessione cosciente.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/3

Linguaggio, tempo e narrazione

Alessandra Chiera
Ines Adornetti
Serena Nicchiarelli
Francesco Ferretti

L’assunto alla base di questo articolo è che le caratteristiche essenziali della comunicazione umana siano individuabili sul piano del discorso. Nello specifico, la nostra proposta è che il linguaggio abbia una natura eminentemente narrativa. Nell’ottica cognitiva in cui si colloca la nostra riflessione, il riferimento al piano narrativo comporta due ordini di considerazioni: la prima è che la capacità di elaborare la struttura in costituenti della frase (microanalisi) non possa essere considerata condizione sufficiente a garantire il funzionamento corretto del processo comunicativo; la seconda è che le proprietà e i sistemi cognitivi che presiedono alla produzione-comprensione del discorso (macroanalisi) debbano essere di natura molto diversa da quelli ipotizzati dai fautori del primato accordato all’analisi in costituenti della frase. Seguendo questo ordine di considerazioni, l’ipotesi che avanziamo è che la narrazione abbia un carattere intrinsecamente temporale e che l’elaborazione narrativa sfrutti le capacità di proiezione nel tempo di uno specifico dispositivo cognitivo: il Mental Time Travel.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/4

Il pensiero senza linguaggio. Note sulla teoria della rappresentazione nell’opera di Freud

Roberto Finelli

Il saggio intende mostrare l’esistenza di tre logiche che contraddistinguono l’operare della mente nella teoria di Freud. Una prima logica quantitativa che è legata direttamente alla dinamica somatico-pulsionale e che è retta unicamente da movimenti di crescita e decrescita di «quantità». Una seconda logica sensoriale-rappresentativa, secondo la quale la mente produce pensieri senza l’uso del linguaggio. È la logica del sogno e del pensiero inconscio, che procede attraverso spostamenti e condensazioni di materiale empirico-sensoriale, senza la funzione del discorso e attraverso relazioni solo di «qualità». La terza logica è quella della mente cosciente-discorsiva, che forma pensieri attraverso la connessione linguistica. Il saggio intende mostrare in modo assai sintetico la fisiologia e la patologia della cooperazione/scissione di queste tre diverse logiche.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/5

Dominio e sfruttamento. Un ritorno neomaterialista sull’economia politica

Federica Giardini

Il linguaggio ha svolto una funzione di crinale nella critica della società, e più in particolare della dimensione economica della società, tanto da poter essere assunto a criterio di periodizzazione per individuare l’avvicendarsi di approcci e strumenti concettuali con cui, di volta in volta, la questione della giustizia e della libertà sociale è stata circoscritta tra la seconda metà del Novecento e gli inizi del XXI secolo. Più in particolare, tenere conto della collocazione e dell’uso della capacità linguistica dell’essere umano permette di delineare quelle due grandi famiglie di analisi e critica che si sono attestate, rispettivamente, sulla nozione di sfruttamento e di dominio. Il testo si conclude con la proposta di un approccio ai contemporanei processi di valorizzazione, che appaiono esercitarsi nel duplice registro economico e simbolico.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/6

La memoria e la rete

Teresa Numerico

L’obiettivo di questo articolo è tracciare le linee di una genealogia del concetto di memoria digitale per comprenderne connessioni e differenze con la memoria umana, con la quale condivide il termine. La definizione della memoria digitale comporta delle trasformazioni anche sull’idea stessa di memoria umana. La ricostruzione della storia delle idee nell’informatica da Turing a Licklider ci permetterà di individuare la struttura genealogica che spinse a una identificazione memoria digitale e umana, che non potrebbero essere più diverse. Sappiamo che la memoria digitale trattiene con precisione tutte le informazioni che vi sono immagazzinate (a meno di malfunzionamento), ma le può ritrovare solo a patto di ricercare precisamente le informazioni prima immagazzinate. La memoria umana invece è per sua natura selettiva, imprecisa e instabile come mostrano molti studi psicologici, ma sostiene gran parte delle attività creative umane, proprio per la serendipità con la quale è capace di associare in modo nuovo i diversi elementi. Nonostante le difformità tra i due concetti si usa la stessa parola, cosa che si ripercuote sull’idea stessa della memoria umana e sul suo presunto funzionamento. La parte finale dell’articolo si occupa delle grandi aspettative sulla Data science, non solo relativamente alla capacità di conservare delle strutture di cloud computing, ma anche di analizzarli per trovarne correlazioni che potrebbero sostituire il funzionamento dei modelli scientifici. La fiducia nel potere dei dati è uno dei risultati pericolosi dell’identificazione della memoria umana e digitale che si spiega a partire dalla ricostruzione genealogica di una presunta digitalizzazione della memoria.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/7

Riflessioni sul verbo ‘avere’

Paolo Virno

Il saggio intende mostrare l’importanza che spetta al verbo ‘avere’ nella descrizione della natura umana. Dire che Homo sapiens ha un corpo, ha il linguaggio, ha la coscienza, ha la vita significa mettere in rilievo uno scarto, o comunque la non identità, tra Homo sapiens e le sue proprietà essenziali. Lo stesso scarto, o non identità, che sussiste sempre tra chi possiede qualcosa e la cosa posseduta. Utilizzando le osservazioni di Emile Benveniste sulla derivazione del verbo ‘avere’ dalla forma ‘y è a x’, ‘mihi est aliquid’, si cerca di mettere a fuoco un tipo di inerenza molto diversa da quella canonica soggetto/predicato.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/8

Il comportamento come dispositivo logico-semiotico. Tra teoria dell’emozione e giudizio di pratica

Guido Baggio

Dopo una breve esposizione della teoria del circuito organico verrà approfondita la teoria dell’emozione di Dewey. In essa è infatti possibile trovare una prima formulazione della continuità tra bio-psicologia e processo di valutazione. L’emozione si mostra, secondo Dewey, alla base del passaggio dall’istinto all’interesse, evoluzione che si radica nel prolungamento della tensione emotiva che segna la linea di discrimine tra istinti egoistici e pulsioni sociali. Ne deriva la possibilità di trovare nella distinzione tra istinto e interesse la base di ciò che nella teoria del circuito organico permette la relazione organica tra stimolo e risposta e che in Theory of Valuation Dewey applica alla distinzione tra wishing e desire. Si vedrà quindi come in The logic of the judgment of practice (1916), il dispositivo organico venga ad essere indicato non solo come dispositivo logico ma anche e soprattutto come dispositivo semiotico, e la teoria del giudizio come una teoria dei segni alla base dei processi di costruzione di significati condivisi da una comunità e di standard di valutazione dei comportamenti che gli individui mettono in pratica.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/9

Quando la carne si fa verbo. La religione tra bios e logos

Sergio Fabio Berardini

In questo articolo, interpreto la religione come un caratteristico sistema di narrazioni e pratiche che agevola e difende il critico passaggio dalla natura alla cultura, ovvero il processo antropogenetico. In particolare, la religione è vista come una ‘tecnica mitico-rituale del corpo’ che permette agli esseri umani di ‘addomesticare’ la propria eredità biologica, dando ad essa significato, senso e ordine. Inoltre, sostengo che la religione (1) è utile nell’‘appagare’ in modo controllato quelle emozioni critiche (paura, angoscia, stupore, ecc.) che potrebbero causare crisi esistenziali e psicologiche; e (2) aiuta a difendere il Sé umano. Infine, propongo la tesi che gli elementi che compongono il corredo simbolico-rituale di ogni religione sono tratti dalla sfera biologica e dall’ambiente in cui una particolare comunità vive.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/10

«The noise of a click». Osservazioni sulle Lezioni sull’estetica di Wittgenstein

Adriano Bertollini

Il saggio intende offrire una presentazione delle Lectures on aesthetics di Wittgenstein del 1938. In quelle lezioni, un ruolo centrale è svolto da ciò che chiamo ‘giudizio estetico di valore’ (§ 2). Si proverà a mostrare che in tali giudizi è in questione la concordanza tra regola e applicazione: ciò che conta non è una qualità astratta come la bellezza, ma il concreto utilizzo di una grammatica, di un insieme di regole: la correttezza rispetto a quell’insieme. Cercherò quindi di approfondire la natura di queste regole: il loro legame con il piano storico (§ 3) e i meccanismi che presiedono alla loro istituzione e cambiamento (§ 4). Proverò infine (§§ 5-6) a mostrare perché non si possa restringere l’applicazione dei giudizi estetici al piano delle arti, sostenendo che in questione è un elemento estetico dell’esperienza che può ritrovarsi in tutti i giochi linguistici, vale a dire ciò che Wittgenstein chiama ‘feeling’.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/11

Jean-Jacques Rousseau e il linguaggio delle passioni

Francesco Boccolari

Nel secondo capitolo del Saggio sull’origine delle lingue, Rousseau afferma che «la prima invenzione della parola non deriva dai bisogni ma dalle passioni». Il seguente articolo esamina i principali argomenti alla base di questa tesi. Vi si mostra come Rousseau, partendo dalle riflessioni di Condillac sull’origine del linguaggio, giunga a degli esiti da un lato radicalmente dissimili rispetto a quelli dell’abate e amico, dall’altro strettamente convergenti con alcune delle considerazioni che, nel XX secolo, John L. Austin farà in merito alla dimensione «illocutoria» della significazione linguistica. Si sosterrà infatti che, per Rousseau, la funzione delle più antiche parole non fu essenzialmente quella di riprodurre le idee degli oggetti al fine di segnalarne la presenza. Fu invece quella di realizzare una varietà di atti ‘passionali’, caratterizzati dal fatto di essere costituiti dalla loro stessa espressione parlata. Si metterà altresì in evidenza come l’esecuzione originaria di tali ‘atti linguistici’ corrisponda, agli occhi di Rousseau, alle prime pratiche istituzionali e forme di socializzazione umana.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/12

Il Mistico. Wittgenstein tra logica ed esperienza

Stefano Oliva

Il presente contributo intende soffermarsi sulla categoria di Mistico, utilizzata da Wittgenstein in alcune delle proposizioni conclusive del Tractatus logico-philosophicus. Per comprendere approfonditamente l’orizzonte problematico dischiuso dall’uso di questo termine, si proporrà la lettura di alcuni passi dei Quaderni 1914-1916. Il Mistico si specificherà come sentimento di insoddisfazione verso le risposte date dalla scienza e come impulso (Trieb) a oltrepassare l’ambito della fattualità in direzione di una considerazione valoriale, vale a dire di una visione etico-estetica. Attraverso la lettura della Conferenza sull’etica si affronteranno poi tre esperienze in cui, secondo Wittgenstein, è possibile l’enunciazione di un ‘giudizio di valore assoluto’. Queste tre tonalità emotive (meraviglia per l’esistenza del mondo, assoluta sicurezza, assoluto senso di colpa), segnate da una specifica logica dell’esperienza (necessità del legame tra sentimento e costrutto logico-linguistico), permetteranno di interpretare il Mistico come una paradossale esperienza della logica (sentimento del linguaggio). La caratterizzazione delle espressioni mistiche come gesti, insensati secondo la teoria del Tractatus ma ammissibili come testimonianza di una tendenza dell’animo umano, segnerà infine il passaggio alle tematiche trattate da Wittgenstein nella sua riflessione matura.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/13

Il significato di ‘uso’. Note a Essere e tempo, §§ 15-18

Lorenzo Pizzichemi

In questo saggio si intendono vagliare due ipotesi. La prima: che il significato consista in un’attività d’uso. La seconda: che le preposizioni siano il corrispettivo significante di quell’attività d’uso che rende qualcosa come il significato linguistico anzitutto possibile. In Essere e tempo Martin Heidegger provvede a fornire una fondazione ‘ontologica’ a entrambe le ipotesi, caratterizzando logicamente l’attività d’uso in maniera preposizionale. A partire da Heidegger, si avanzano allora alcune tesi circa la natura e la funzione delle preposizioni. Sulla scorta delle osservazioni di Paolo Virno sulla negazione linguistica, si sostiene che le preposizioni sono «utensili trascendentali». Esse, infatti, sono sì utensili concreti della prassi linguistica, ma, al contempo, danno realtà empirica alle condizioni di possibilità che giacciono a fondamento di ogni prassi linguistica. Scopo di questo saggio, infine, è suggerire un ripensamento delle teorie di Heidegger su ‘uso’ e ‘significato’.

DOI: 10.13134/978-88-94885-19-4/14

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