Vers un nouveau Moyen-Orient? États arabes en crise entre logiques de division et sociétés civiles

Vers un nouveau Moyen-Orient? États arabes en crise entre logiques de division et sociétés civiles
A cura di:  Anna Bozzo, Pierre-Jean Luizard
Editore: RomaTrE-Press
Data di pubblicazione: luglio 2016
Pagine: 310
ISBN: 978-88-97524-70-0
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Abstract

Le Primavere arabe hanno dovunque provocato l’indebolmento degli Stati, incapaci di ricevere sulla base della cittadinanza le rivendicazioni provenienti sia dai giovani attivisti rivoluzionari, sia di certi movimenti che si richiamavano all’islam salafita. Il presente volume intende comparare i processi di delegittimazione dell’autorità dello Stato in cinque paesi arabi (Irak, Siria, Libano, Libia, Yemen), collegandoli ad una temporalità più lunga, quella della creazione dello Stato, all’inizio del XX secolo, sul modello dello Stato-nazione moderno europeo e anche al periodo anteriore, nei processi di autonomizzazione regionali, confessionali e/o tribali in corso durante l’ultimo secolo dell’Impero Ottomano. Questo radicamento puo’ ugualmente spiegare il carattere spesso autoritario dei regimi che si sono succeduti negli Stati usciti dalla tutela coloniale eche non sono riusciti a suscitare una cittadinanza condivisa.

Il libro mette insieme specialisti del mondo arabo contemporaneo (storici, politologi o sociologi) che si interrogano su una serie di questioni cruciali per comprendere le crisi del dopo-Primavere arabe: «la crisi dello Stato» messa a confronto con una «domanda di Stato», l’esistenza della « nazione » come fondamento di legittimazione dello Stato, l’evoluzione delle società civili nel contesto di segmentarizzazione delle società (contesto tribale e/o confessionale), l’origine coloniale degli Stati, come altrettanti elementi esplicativi delle crisi attuali.

Contributi

Remerciements en guise de Préface

Anna Bozzo

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/1

Irak, Syrie, Liban, Yémen, Lybie: des États arabes en faillite

Anna Bozzo
Pierre-Jean Luizard

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/2

L’État au péril des sociétés du Moyen-Orient?

Myriam Catusse

Questo articolo si propone di leggere i contributi del volume attraverso una riflessione sulla storicità dello Stato nel Vicino Oriente. Piuttosto che difendere l’idea di una rivincita, in forma atavica, delle società sul processo paradossale della loro «statalizzazione»  e della «privatizzazione degli Stati», che furono l’opera delle imprese coloniali,  e poi degli Stati autoritari, questo articolo propende per un approccio comprensivo e storicizzato dei processi attraverso i quali si esprimono, in maniera molto contemporanea, all’indomani delle rivolte del 2011, rappresentazioni e pratiche dello Stato  assai diversificate, ivi compreso uno Stato rappresentato dalle sue deficienze. Lungi dall’erigerlo in formula politica assoluta (di cui non si puo’ fare a meno), e senza relegarlo nel cimitero degli oggetti caduchi o esogeni, si tratta al contrario di pronunciarsi per un ritorno alla storia, certo, ma alla storia non ufficiale, per così dire, una storia delle categorie impiegate per descrivere la realtà sociale  e le rappresentazioni, linee di spartizione, elementi tangibili che queste categorie possono celare (in questo senso lo Stato resta un oggetto di narrazione, con degli aspetti performativi molto vari, dall’Iraq fino al Libano, passando per la Palestina); e una storia dal basso, sociologizzata, e attenta ai ‘piccoli’ attori, la cui relazione allo Stato non esaurisce i riflessi di cittadinanza. Le società contemporanee del Vicino Oriente si rivelano degli eccezionali luoghi di analisi, non del fallimento degli Stati, ma delle forme complesse, mutanti e non esclusive, di Stati nelle loro società.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/3

Les fragilités de l’État irakien et les conditions pour sa reconstruction dans les équilibres régionaux

Maurizio Melani

Le fragilità delle Stato iracheno voluto dal Regno Unito per assicurarsi il controllo delle principali aree petrolifere dei territori mediorientali dell'ex Impero Ottomano sono state amplificate dalle modalità di gestione del potere da parte di Saddam Hussein, dagli effetti dell'intervento americano nel 2003 e dai comportamenti dei paesi della regione ed in particolare dei grandi produttori di idrocarburi che hanno mostrato di non essere interessati alla stabilizzazione dell'Iraq. Tutti questi fattori hanno stimolato il settarismo che ha impedito una ricostruzione sostenibile delle istituzioni e sono alla radice della nascita di Daesh. Per riportare la pace nel paese e nella regione occorre un compromesso, che appare oggi alquanto lontano, tra gli interessi delle diverse componenti della società irachena, degli attori regionali e delle potenze esterne.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/4

À Bagdad comme à Beyrouth, la société civile face à l’absence d’État

Pierre-Jean Luizard

L’estate 2015 è stata testimone di due movimenti di grande ampiezza a Bagdad come a Beirut, causati dalle interruzioni di elettricità e dalla non-raccolta della spazzatura, mentre il termometro segnava quasi 50°. Questi movimenti orizzontali, senza l’inquadramento di un partito politico, hanno espresso tutte le rivendicazioni accumulate dalla popolazione contro la corruzione endemica, il disfunzionamento dello Stato e la paralisi delle istituzioni politiche.  In Irak come in Libano, il responsabile è stato chiaramente designato : il confessionalismo. In Irak come in Libano, il movimento,  per quanto potesse essere di massa, si è finalmente esaurito, per mancanza di interlocutore : a Bagdad come a Beyrouth, in effetti, lo Stato era assente!

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/5

Dynamiques de transformation des relations entre le centre et la périphérie kurde en Irak

Hardy Mède 

Questo articolo si propone di analizzare la riformulazione del legame statuale tra il centro e la periferia in Irak, attraverso il prisma della questione curda. La componente curda, la cui stessa esistenza contraddice la concezione arabo-centrica e unitaria della nazione come fondamento dello Stato iracheno, è intrinsecamente una sfida per il regime. Di fronte alla forte ascesa delle rivendicazioni curde, la risposta del potere centrale oscilla tra repressione e concessione di una serie di competenze che permettono l’emergere di un’entità politica autonoma tale da sfuggire progressivamente al controllo di Bagdad. Nel 2005, in seguito all’intervento americano, l’Irak passa da uno Stato unitario fortemente centralizzato, ad uno Stato federale. La nuova costituzione irachena tende a promuovere un modello federatore in cui la periferia curda che gravita nel girone iracheno beneficia di una larga autonomia. Il processo di re-irachizzazione della perifera curda, in quanto regione federata all’Irak, si accompagna ad un tentativo di incorporazione delle élites periferiche al potere centrale. Stando così le cose, malgrado una dinamica costituzionale favorevole, il centro si avvera incapace di integrare allo Stato le diverse componenti della società irachena. Si assiste piuttosto ad una logica di arruolamento delle élites curde (o sunnite) nelle istituzioni centrali, senza che esse siano realmente associate al processo decisionale. Questa incapacità di integrare allo Stato le diverse componenti della società irachena, affonda il paese in una logica di frammentazione territoriale.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/6

L’État et le basculement du système politique communautaire irakien

Arthur Quesnay

Attraverso la crisi del sistema politico comunitario post-2003 in Iraq, questo articolo mostra come le strategie degli attori iracheni si dispiegano prima di tutto in rapporto allo Stato e per la sua intermediazione, utilizzando largamente il suo apparato istituzionale e amministrativo per operare nel conflitto. Anche se la banalizzazione della violenza ridefinisce il rapporto allo Stato, quest’ultimo resta la principale posta in gioco del conflitto, il che finisce per smentire una analisi unicamente weberiana del funzionamento delle sue istituzioni.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/7

Pour une approche relationnelle de la crise de l’État au Moyen-Orient: le cas kurde (1919-2014)

Jordi Tejel Gorgas

Partendo dall’osservazione del caso curdo in Irak e in Siria attraverso un secolo di storia, questo contributo adotta un approccio dinamico e interrelazionale, al fine di studiare la questione della crisi dello Stato-nazione in Medio Oriente a partire da tre premesse.  In primo luogo, la formazione dei gruppi identificati come « minoritari » è il risultato di una storia di relazioni di potere e, di conseguenza, il risultato di un processo sociale. In secondo luogo, i membri delle «maggioranze» e delle «minoranze» non sono ovunque ed ad ogni momento contrapposti. Quindi, la relazione tra «maggioranze» e «minoranze» fa parte di un processo dinamico, di cui dobbiamo prendere in considerazione sia le continuità che le discontinuità. Infine, esiste una forte interrelazione tra i periodi in cui gli Stati, o segmenti dello Stato, si alleano a dei gruppi «esterni» – açabiyyât (gruppi di solidarietà), etc. –, onde supplire alle carenze dello Stato,  e le fasi del consolidamento del movimento curdo, e vice-versa.  Il risultato, a lungo termine, è una trasformazione reciproca, che si manifesta con una frammentazione accentuata e degli Stai e dei movimenti curdi. Paradossalmente, mentre Stati e movimenti curdi sono riusciti  ad assicurare la loro durabilità, essi si sono allontanati dalla loro dottrina originale : la creazione di Stati-nazione omogenei e sovrani su tutto il territorio nazionale. Così, se lo Stato-nazione è in causa, lo è anche il progetto nazionalista curdo.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/8

La construction nationale syrienne face aux dynamiques identitaires et communautaires

Zakaria Taha

Il movimento di contestazione siriano  lanciato nel marzo 2011 ha dato una visibilità alle comunità etniche e confessionali (kurdi, turcomanni, assiri, cristiani...) che a lungo erano rimasti dissimulati in una Siria, sotto il regime del Baath dal 1963, considerata come uno Stato forte, e al riparo dalle divisioni comunitarie. In un contesto di guerra civile, e in un Vicino Oriente  fragilizzato dal settarismo, le dinamiche identitarie costituiscono una sfida per lo Stato siriano e rappresentano una minaccia per la sua integrità territoriale e la sua unità nazionale. Se queste dinamiche identitarie marcano la crisi strutturale dello Stato e della sua legittimità, sollevano anche la questione della costruzione nazionale siriana. Si tratta di leggere l’attuale crisi dello Stato attraverso e alla luce delle poste in gioco  regionali e internazionali (confessionalizzazione dei conflitti, crisi economica, tensioni sunniti/sciiti, arabi/curdi, maggioranza/minoranza...).

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/9

État et société dans la Syrie d’aujourd’hui. Une histoire d’impensés et d’impasses

Nadine Méouchy 

L’articolo ritorna sull’instaurazione dello Stato moderno in Siria, a partire dalla sua origine nel 1918-1920, per mettere in luce le impasse della sua fondazione e le fondamenta durevoli dell’attuale guerra civile siriana. Incrociando dati storici e antropologici, questo articolo solleva diverse questioni intorno alla relazione tra lo Stato e la società, tra la società e l’individuo : lo Stato siriano è forse riuscito a trasformare dal 1920 dei sudditi ottomani in cittadini ? Se no, perché ? La dittatura ne è una causa o una conseguenza ? Dalla configurazione strutturale della società, chiamata a portare questo Stato in un quadro coloniale, dalla forma Stato, dal rapporto delle élites e delle minoranze con il Potere, alla costruzione nazionale, e fino allo sviluppo del processo di emergenza dell’individuo, l’articolo passa in rassegna le diverse questioni per discutere la regolamentazione politica della crisi siriana.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/10

Cinq questions à Salam Kawakibi

Salam Kawakibi

Questo articolo ritorna sulle origini della rivolta siriana, per mostrare che le radici della crisi siriana attuale si collocano negli anni settanta, quando il potere di Assad padre ha instaurato un regime definibile come «sicurocrazia». Il testo interroga così la costruzione dell’identità siriana o la sua distruzione, poi analizza le origini del confessionalismo e della sua progressiva diffusione nella società. Per finire, interpella la cosiddetta comunità internazionale che si nasconde dietro la complessità immaginata della crisi e sottolinea al contrario l’assenza di una reale volontà di finirla con questa catastrofe umanitaria.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/11

Syrie: État sans nation ou nation sans État?

Thomas Pierret

Mentre si celebra il centenario dell’accordo Sykes-Picot, la disintegrazione attuale degli Stati siriano e iracheno resta frequentemente attribuita al supposto carattere «artificiale» che avrebbero loro conferito le frontiere coloniali fissate arbitrariamente. Qui viene messa in causa l’eterogeneità etnico-confessionale delle entità create dagli imperialismi francese e britannico, aventi come corollario l’idea che qui si sarebbe di fronte a Stati che avrebbero fatto fallimento per l’assenza di identità nazionale.  Qui per la Siria si porterà l’argomento inverso, affermando che la persistenza dei legami primordiali etnici e confessionali, in quanto vettori di mobilitazione politica, non risulta dalla debolezza dell’idea nazionale, ma piuttosto da quella di istituzioni statali, le quali, essendo di recente costruzione, si sono mostrate permeabili a queste solidarietà primordiali e le hanno anzi rafforzate. 

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/12

Tripoli: entre allégeance libanaise et velléités islamistes

Wissam Paul Macaron

Questo articolo intende illustrare le tensioni segmentari che continuano a caratterizzare la Repubblica Libanese. Fin dalla sua creazione, la logica dello Stato-Nazione fa fatica a consolidarsi nel Paese dei Cedri.  Questo fenomeno è particolarmente rivelatore a Tripoli, nella misura in cui questa grande città del Libano Nord dispone di una storia ricca e di numerose risorse. Tuttavia, troppo spesso considerata come periferica, la situazione di  emarginazione sociale ed economica  di Tripoli si traduce oggi, e in maniera crescente,  in una serie di dinamiche di frammentazione.  In un contesto caratterizzato da paralisi istituzionale, con una leadership quasi assente e in presenza delle ripercussioni a catena della crisi siriana sulla città, i movimenti islamisti, ben radicati e dotati di una certa legittimità, si fanno i portavoce di una contestazione caratterizzata da accenti anti-istituzionali sempre più percepibili.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/13

Sur les frontières: le Parti syrien national social entre idéologie unitaire et États-nations

Nicolas Dot-Pouillard

Questo articolo è consacrato all’evoluzione del Partito siriano nazionale sociale (PSNS), un partito nazionalista «siriano»  fondato da Antoune Saadé en 1932 – nel senso di una Grande Siria, concepita su una base regionale e non in riferimento al solo nazionalismo arabo, poiché include l’isola di Cipro. Questo partito rifiuta dunque per principio la divisione del territorio della Grande Siria in diversi Stati-nazione. Tuttavia, per il fatto del suo insediamento a cavallo tra Libano e Siria, si è trovato implicato dentro giochi politici interni a ciascuno di questi Stati e si è scisso in più tendenze rivali, con, per esempio, un PSNS «centrale», diventato con il tempo un partito libanese, e una branca «Intifada», la cui storia è soprattutto legata a quella della Siria. L’articolo esplora le tensioni e le contraddizioni tra questa ideologia unitaria e la sua implicazione nei modi di essere e nelle logiche dello Stato-nazione,  e si interroga se l’attuale crisi siriana, per il fatto che ripropone la questione delle frontiere nazionali, non è suscettibile di restituire uno spazio politico ad un partito e ad una ideologia che respingono tanto le attuali logiche comunitariste e  stato-nazionaliste, che le utopie a base religiosa.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/14

Liban, l’État retrouvé. Le cas du territoire de Wadi Khaled à la frontière avec la Syrie

Lorenzo Trombetta

Cinque anni dopo lo scoppio della crisi siriana, il contesto socio-politico libanese continua nel suo complesso a esprimere una profonda capacità di resistere alle pressioni esterne e interne, come il flusso di rifugiati e la prolungata esposizione di alcune zone a  tensioni confessionali. Mentre all’estremità orientale della Siria il confine sembra essere svanito nelle sabbie del cosiddetto Stato islamico, all’estremità occidentale il confine poroso col Libano ha acquisito una legittimazione senza precedenti da attori statali e non statali libanesi e siriani. Le comunità locali tuttavia continuano ad esprimere una retorica e una pratica ambigua di fronte al tema della presenza e dell’assenza dello Stato e del confine. Wadi Khaled, una striscia di Libano infilata in Siria, rappresenta un esempio eccellente per leggere la sovrapposizione di percezioni formali e informali della frontiera, nel più ampio contesto delle relazioni tra i due paesi. Con questo articolo intendo in generale investigare l’impatto del conflitto siriano sulla regione frontaliera libanese. In particolare, col presente lavoro voglio rilevare gli elementi di continuità e rottura della retorica e della pratica di attori formali e informali libanesi.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/15

Crise de l’État et politiques migratoires dans la Libye post-Kadhafi

Antonio M. Morone

À cinq ans de distance du début du conflit en Libye, la situation oscille aujourd'hui entre les tentatives de médiation sous l'égide des Nations Unies et la menace d'une nouvelle intervention internationale. Précisément, la dimension migratoire de la crise, c'est-à-dire celle des flux liés de différente manière et en différentes directions au cycle de la guerre civile en Libye a fini par accéder au statut d'argument par excellence pour justifier l'hypothèse d'une nouvelle intervention dans le pays. Au-delà des logiques de guerre, le texte montre comment la Libye avait continué à être un pays de destination avant tout, contrairement aux  représentations habituelles de ce pays comme simple terre de passage vers l'Europe. En ce sens, les différentes politiques italiennes et européennes mises en oeuvre en collaboration avec les autorités libyennes révèlent que, dans un contexte de crise et de fragmentation de l'État, les politiques migratoires et les intérêts stratégiques européens sont à la base d'un processus de reconstruction institutionnelle entre 2012 et 2014, avant l'escalade du conflit dans le pays. 

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/16

«Nouvelle Libye» ou «fin de la Libye»? Les chemins tracés par la transition post-Qadhafi

Virginie Collombier

La morte di Mu'ammar Qadhafi non implicava ineluttabilmente l’estrema frammentazione e la competizione violenta che hanno caratterizzato la transizione libica dal 2011 e che potrebbero, a lungo termine, minacciare l’esistenza stessa della Libia come Stato unitario.  Le dinamiche proprie alla guerra del 2011 hanno influenzato profondamente il corso della transizione.  Allo stesso modo, le scelte operate dalle nuove élites politiche libiche, l’intervento degli attori esterni e la natura del processo di mediazione in sede ONU hanno contribuito ad accrescere le divisioni e la frammentazione del territorio e della comunità nazionale.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/17

Les milices en Libye: Obstacle majeur à la reconstruction de l’État

Moncef Ouannès 

Dai primi mesi della rivolta libica, due erano le visioni dominanti, completamente separate tra loro. La prima, rappresentata essenzialmente dal generale Abdelfattah Younès Abidi, e anche da certi membri del Consiglio Nazionale di Transizione (C.N.T.)  rifiutava l’idea che gli attori della rivolta fossero le ‘milizie’ e insisteva sul fatto che ogni forma di resistenza all’ancien régime doveva aderire all’ «esercito di liberazione». La seconda visione era rappresentata da gruppuscoli e difesa da Mustapha Abdeljelil, presidente del C.N.T., e indirettamente dal Qatar e dalla Turchia, e permetteva a tutti gli attori politici e ideologici di organizzare la loro resistenza. L’assassinio di Abdelfattah Younès il 28 luglio 2011 ad Ajdabya da un gruppo di miliziani appartenenti ad Al-Qaïda ha permesso il trionfo della seconda visione e l’accaparramento totale della rivolta da parte degli islamisti radicali e perfino di tutta la fase post-rivolta. Da lì possiamo giungere alla conclusione che questo prevalere delle milizie era premeditato e programmato in anticipo e si iscriveva scientemente nel quadro dei conflitti regionali. Ma questa visione ha avuto pesanti conseguenze sia per la Libia che per i suoi vicini arabi ed africani.

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/18

Continuité, réforme ou rupture dans l’État yéménite post-2011

Laurent Bonnefoy

La reincarnazione yemenita delle «primavere arabe»  ha inizialmente dato luogo ad un processo di transizione politica entusiasmante.  Questo si è tuttavia rapidamente deteriorato, approdando ad una guerra e alla deliquescenza delle istituzioni statuali.  Come spiegare questo deterioramento ? Questo breve articolo mette l’accento su due dinamiche di segmentarizzazione e polarizzazione identitarie, che sembrano minare le basi e le risorse dello Stato yemenita, tra Nord e Sud(s), tra sunniti e sciiti. Si intendono ugualmente tracciare le premesse di una identità ‘terza’, strutturata intorno alla città di Taëz, che permetta di superare le impasse di questa polarizzazione. 

DOI: 10.13134/978-88-97524-70-0/19

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A cura di: Fernando Quiles García, José Jaime García Bernal, Marcello Fagiolo Dell’Arco, Paolo Broggio
A cura di: Fernando Quiles García, José Jaime García Bernal, Marcello Fagiolo Dell’Arco, Paolo Broggio
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A cura di: Alessandro Serra, Sara Cabibbo
A cura di: Francesca Tomassini, Monica Venturini
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