Abstract
La convinzione che il lavoro dello storico debba assolvere una irrinunciabile, salvifica funzione etico-civile non è certo rara nell’Accademia.
Il filo rosso che attraversa i saggi riprodotti nel volume rimanda invece a un’altra concezione del lavoro storico, probabilmente minoritaria tra gli addetti ai lavori ma non per questo, riteniamo, meno legittima, concezione che rifiuta l’idea che l’attività di ricerca debba prefiggersi obiettivi extrascientifici.
Secondo tale concezione, lo storico, nell’esercizio della sua professione, deve ripudiare ogni torsione funzionalista e strumentale della ricerca, ogni suggestione etico-pedagogica.
Deve respingere ogni blandizia e lusinga provenienti da chi gli volesse commissionare compiti terapeutici, di rigenerazione e legittimazione di sistemi politico-istituzionali.
Lo storico, se veramente tale, non deve partecipare, a parer nostro, ad alcun processo di nation building. Né costruttore di identità né dispensatore di virtù civiche, deve anzi correre il rischio che il proprio lavoro possa rivelare una contraddizione, insanabile, tra le esigenze della professione storica e i doveri civici discendenti dall’appartenenza a una comune cittadinanza.