Editoriale
Francesca Brezzi
Francesca Gambetti
Maria Teresa Pansera
Casa. Il primo mondo dell’essere umano
Maria Teresa Russo
Con la pandemia la casa è diventata “il luogo dove si resta”, uno spazio condiviso o, al contrario, sinonimo di solitudine. La casa è diventata mondo, ospitando personaggi, immagini, discorsi, ma anche paure, aspettative, speranze. L’invasione dei social, lo smart working e la didattica a distanza sembrano aver incrinato l’antica linea di separazione tra privato e pubblico, per cui il privato non sembra più riuscire a custodire l’intimo e sempre più spesso viene fotografato, commentato, esibito in luoghi virtuali. Chiuso e aperto: se la porta di casa rappresenta la possibilità di chiudere per preservare l’intimità, è però anche un invito a entrare, perché rende possibile accogliere e ospitare. La pandemia e i frequenti divieti ci hanno resi guardinghi e timorosi sebbene resti intatta la nostalgia di relazioni, di incontri con amici e parenti. La casa, infatti, rimane comunque il luogo pacifico e sicuro per antonomasia, centro reale e di legami sinceri.
Distanza. La didattica degli sguardi assenti
Paola Mastrantonio
L’articolo si propone di esplorare alcuni aspetti dell’esperienza dell’apprendimento a distanza o, meglio, dell’apprendimento “di emergenza”, iniziata durante il primo blocco dovuto alla pandemia di Covid-19, è tuttora in corso nelle scuole italiane con la cosiddetta Didattica Digitale Integrata (DDI). Tra gli esperimenti condotti individualmente dagli insegnanti, immediatamente reattivi anche se presi alla sprovvista da questo evento, e dalle relativamente tardive indicazioni del Ministero dell'Istruzione, gli studenti, le vere vittime di questa situazione, si sono sostanzialmente abituati a pratiche e metodologie che mettono in secondo piano il valore essenziale della relazione educativa. Anche se non siamo in grado di prevedere gli effetti a lungo termine della pandemia, è comunque chiaro che la perdita della qualità complessiva dell’esperienza di apprendimento/insegnamento si aggiungerà ai problemi psicologici e sociali legati all’isolamento.
Epidemia. Galeno e la ‘peste antonina’
Riccardo Chiaradonna
La cultura antica aveva due termini per indicare le epidemie: il primo era appunto epidemia, ovvero “ciò che è sopra al demos”, il secondo è loimos, la pestilenza. Oltre alla celebre descrizione della peste di Atene da parte di Tucidide, un altro famoso loimos dell’antichità è descritto da Galeno: la ‘peste antonina’, che, arrivata da Oriente, sconvolse l’Impero Romano tra il 165 e il 180 d.C. Galeno spiega l’origine di tale pestilenza nell’interazione tra ambiente e costituzioni fisiche individuali, tuttavia vede i suoi metodi diagnostici messi in crisi proprio da tale pestilenza.
Krisis. La medicina come paradigma
Francesca Gambetti
Secondo lo storico Reinhardt Koselleck il termine krisis è la parola chiave della modernità e della nostra vita, in tutte le sue declinazioni, individuali e collettive, economiche, politiche, sociali e culturali. Il concetto di crisi ha comunemente un significato negativo e sta a indicare il venir meno, l’esaurirsi di modelli esplicativi del reale che hanno perso la capacità di rappresentare, dare senso all’uomo e al suo mondo. È possibile pensare alla crisi in maniera positiva? Attraverso il recupero del modello epistemologico ippocratico della crisi, l’articolo si propone di guardare a questa come individuazione del ‘tempo debito’, come opportunità del ‘mettere sotto giudizio’, per recuperare la forza euristica e propulsiva della riflessione e dell’analisi critica, in grado di rifondare gli schemi di comprensione di noi stessi e del reale.
Morbus. Malattia e physiologia in Lucrezio
Chiara Rover
Come è da intendersi la malattia per Lucrezio? Che cosa la accomuna agli altri fenomeni naturali? Come prende possesso del soggetto che ne è colpito? In una situazione di portata eccezionale come quella attualmente attraversata dal pianeta intero, il macabro e inaspettato resoconto della cosiddetta ‘peste’ di Atene, alla fine del De rerum natura, ha riacceso l’interesse degli studiosi. Tale descrizione deve essere inquadrata nella più ampia trattazione dei morbi nel VI libro dell’opera.
Negazione. Il negativo tra rimozione e coscienza
Maria Teresa Pansera
L’inquietudine derivante dal Coronavirus è primariamente angoscia di morte, di catastrofe, di perdita di noi stessi e degli altri. Ci troviamo in un continuo stato di allarme di fronte ad un nemico invisibile e perturbante. Per uscire da questo stato di tensione possono scattare quei meccanismi di difesa a cui l’uomo può fare ricorso quando la realtà esterna o interna non lo soddisfa e su cui si fonda il fenomeno che oggi chiamiamo “negazione” o “negazionismo”. Per cercare di comprendere il senso profondo di questa negazione della realtà e del conseguente rifiuto dei dati che la scienza e la ragione ci presentano è utile fare riferimento al saggio freudiano del 1925, Die Verneinung, sul meccanismo della negazione. La negazione è definita in maniera duplice: come ricusazione psicologica di un contenuto rimosso e come negazione logica che è parte del giudizio. L’atteggiamento del negativismo odierno richiama il primo livello della Verneinung, la “denegazione”, ovvero il rifiuto, originato da uno stato emotivo di grande ansia e paura che, respingendo il problema e tutte le sue implicazioni a livello razionale, si manifesta esclusivamente in forma negativa.
Pathos. Passione o patimento?
Arianna Fermani
Il contributo mira ad esaminare le due fondamentali accezioni della nozione di pathos all’interno della riflessione etica aristotelica: 1) come passione, che il soggetto si trova in molti modi a sperimentare e della cui amministrazione è chiamato a rispondere, e 2) come patimento, che attraversa in molti modi e con molteplici intensità la vita umana e rispetto a cui il soggetto è chiamato a mostrare il suo calibro.
Perturbante. L’estraneità nascosta
Daniela Angelucci
Il termine Unheimlich, perturbante, è per natura duplice: sotto il significato più evidente di straniero nasconde quello di familiare. Schelling definisce il perturbante come qualcosa che dovrebbe rimanere nascosto e che invece è affiorato. Il perturbante è il ritorno, incontrollabile e inatteso, del rimosso, ciò che tiene insieme familiare e straniero. Questa atmosfera accompagna la nostra esperienza del virus, sottolineandone la natura inquietante. La minaccia del contagio con cui stiamo imparando a convivere è invisibile ma esiste, viene da fuori, ma potrebbe essere anche dentro di me; i virus, infatti, non hanno un proprio metabolismo e non riescono ad accrescersi e moltiplicarsi in modo autonomo. Da questa duplicità deriva la nostra esperienza perturbante della pandemia, in cui si annida la duplicità del familiare e dello sconosciuto, del pericolo e della possibile salvezza.
Peste. Jack London e La Peste Scarlatta
Manfredo Guerrera
Il saggio analizza il racconto distopico di Jack London, La peste scarlatta, scritto nel 1912, stranamente poco ricordato in questo terribile 2020. Gli eventi si immaginano svolgersi nel 2073, quando un vecchio cencioso, che poi si scoprirà essere stato professore di filosofia, ricorda a fanciulli quasi selvaggi i fatti drammatici avvenuti 60 anni prima, quando una terribile epidemia aveva sconvolto il mondo, come il Covid 19 ha sconvolto il nostro. Il ricordo va alla società passata, colta, ricca, “civilizzata”, dominata, tuttavia dal Consiglio dei Magnati dell’industria, i quali avevano ridotto gli uomini in schiavi obbedienti, automi, silenziosi esecutori di ordini. Il morbo scarlatto distrugge tutto lasciando un paesaggio selvaggio e quasi desertico, sommerso da muschi selvatici, popolato da lupi famelici.
Phobos. La paura in Omero e i ‘maestri di paura’ in Platone
Anna Motta
Lidia Palumbo
Attraverso un breve itinerario letterario e filosofico, questo saggio intende offrire uno scorcio sull’universo antico della paura per mostrare alcuni dei modelli omerici che hanno inciso su quel sistema tradizionale di credenze che Platone ridiscute criticamente. Omero descrive la paura nel contesto della guerra di Troia e ne analizza la fenomenologia fissando nell’immaginario l’idea che la fuga sia sinonimo di paura. Platone rilegge filosoficamente alcuni episodi letterari, mitici e storici per offrire una nuova prospettiva da cui guardare alla fuga ed educare alla paura.
Postumano. Un umanesimo problematico
Stefano Rozzoni
Il saggio inizia con una breve disamina dei termini postumano e post umanesimo, in quanto indagine critica sul concetto di ‘uomo’, per superare l’abitudine intellettuale che lo pone ‘al centro dell’universo’ o come ‘misura di tutte le cose’. Il postumanesimo persegue, infatti, una visione volta a scardinare le gerarchie e le implicite discriminazioni che tale concetto possiede, (ri)posizionando l’essere umano all’interno di un’ampia e complessa rete di relazioni con altri enti organici e inorganici (compresi animali, vegetali, minerali, ma anche la tecnologia), con i quali costituisce un unicum pluralista e orizzontale. Considerando la grande attenzione che il postumanesimo rivolge alle trasformazioni del presente, è interessante osservare come gli effetti (culturali, sociali, politici, economici, ecc.) legati al Covid-19 abbiano reso inequivocabile la rilevanza degli interrogativi offerti dal postumanesimo già da diversi anni.
Trauma. La deflegrazione che squarcia
Gabriella Baptist
A partire dalla nozione di accidente, come struttura che aggiunge al finito un alone di indefinitezza e di indeterminazione, l’articolo invita a riflettere sulla nostra identità di ‘accidentati’ o ‘incidentabili’, sul sempre possibile collasso della nostra coscienza, non solo per traumi effettivi, biologicamente o storicamente determinati, ma anche per traumi simbolici, affettivi o politici in senso lato. Secondo Catherine Malabou la soggettività contemporanea è sempre più sottoposta a nuovi traumatismi, che sono le grandi tragedie storiche, ma anche i malesseri dovuti all’esclusione sociale, alle crisi economiche, agli attentati di ogni tipo, alle devastazioni dei molti volti della violenza. Il sopravvissuto traumatizzato che emerge è un soggetto desoggettivato, interiormente desertificato, caratterizzato da una forma di diserzione da sé e di insensibilità verso il mondo.
Apatheia. Imperturbabilità e consapevolezza in Seneca
Melania Cassan
Stefano Maso
Per approfondire le nozioni di imperturbabilità e consapevolezza nel pensiero di Seneca è importante partire da riflessioni di carattere biografico e filosofico. Ci si soffermerà sulle strategie messe a punto dal Cordovese per superare al meglio, da buon proficiens, la sofferenza fisica causata dalla malattia: emergerà l’importanza dello studio della filosofia e di una buona comunità familiare e amicale. Si mostrerà, poi, la centralità del ruolo dell’educazione per guadagnare la coscienza della propria forza interiore, a prescindere dalle condizioni esteriori, e raggiungere così l’imperturbabilità.
Corpo. La malattia, la cura, le donne
Gabriella Bonacchi
Il corpo del malato, come già il corpo femminile è da sempre assoggettato a una parola estranea alla propria realtà. La storia delle donne e la storia dei pazienti non sono poi così distanti: in entrambi i casi siamo di fronte a una storia di codifica dei corpi. La malattia e l’ospedale sono il terreno di coltura di una presenza femminile straordinariamente antica ma che possiamo sottoporre ad una interpretazione di tipo nuovo. Questa presenza ha, da sempre, messo in campo una soggettività diversa da quella ideata dai meccanismi di produzione del paziente a uso e consumo del mercato, delle burocrazie e delle strutture del potere. Su questa traccia deve muoversi la trasformazione del paziente nel paziente in carne e ossa bisognoso di cura.
Cura. Tra Socrate e Martha Nussbaum
R. Loredana Cardullo
L’etica della cura ha assunto un ruolo sempre più importante nel dibattito contemporaneo, sebbene il concetto di cura abbia origini antiche, che risalgono alla stessa filosofia greca. L’articolo intende soffermarsi su due autori particolarmente seguiti dall’odierna filosofia morale, Socrate e Aristotele. Il primo, artefice del momento fondativo della cura, l’ha intesa in senso orientativo e dialogico-relazionale; il secondo invece ha enfatizzato un aspetto della natura umana a lungo nascosto o negato dal pensiero antropocentrico moderno: la vulnerabilità. Proprio questo aspetto è stato oggetto della recente riflessione della filosofia americana Martha Nussbaum e del suo celebre Capabilites Approch.
Forza. Dalla sottomissione all’ascolto di sé
Alessandra Chiricosta
Contro stereotipate concezioni che attribuiscono alla donna debolezza e fragilità il saggio esplora un senso differente della forza, che le donne hanno sperimentato a partire dal proprio corpo-realtà. Un altro genere di forza, che aprirà nuovi scenari, riscriverà i codici di una ‘funzione guerriera‘ femminile come capacità trasformativa per tutte e tutti. Uscendo dal dominio della forza virile, essere forti, fisicamente, mentalmente, emotivamente, significa allenarsi a un’auto-coltivazione che vede il conflitto non come prevaricazione, ma come criterio di ascolto, di sé, degli altri e del contesto. La forza si esprime nel saper trovare equilibri dinamici spiraliformi nei giochi delle spinte contrastanti, che si co-appartengono sempre.
Logoi. Le parole che curano
Stefania Giombini
Questo articolo vuole analizzare come è possibile curare attraverso il logoi, così come è stato suggerito da Antifonte e Gorgia. Antifonte è noto per aver composto una techne alupias, una pratica per eliminare il dolore attraverso i logoi; Gorgia invece ha dedicato parti significative del suo Encomio a Elena a definire il logos in una doppia chiave, in quanto forza in grado di eliminare il dolore e originare il piacere. Entrambi gli autori sembrano conoscere molto bene l’aspetto performativo del logoi. È particolarmente interessante notare come la filosofia antica rifletta sull’uso del linguaggio come metodo per curare sia la sofferenza psicologica sia il dolore umano.
Presenza. Didattica come comunità speculativa
Patrizia Nunnari
Nella didattica a distanza è difficile rilevare la reale frequenza dei ragazzi: la modalità a distanza infatti li induce a trovare con maggiore facilità il modo di sfuggire a interrogazioni e compiti, adducendo ragioni di ordine tecnico, quando invece i motivi sembrerebbero essere altri: impreparazione, scarso impegno o disorganizzazione nelle attività di studio domestico. È fuor di dubbio che la didattica “in assenza” sia ancora capace di coinvolgere sia i ragazzi che già possiedono forti motivazioni allo studio che quelli con alcune difficoltà ma supportati dalla famiglia. La didattica a distanza risulta invece deleteria sia per gli studenti più sfaccendati, ma spesso non meno capaci, sia per quelli con disabilità e bisogni educativi speciali, per i quali la socializzazione viene a mancare completamente. La didattica in presenza, infatti, promuove sia la dimensione spirituale che materiale degli studenti, realizzando una vera comunità speculativa, accompagnando in una dialettica appassionata, ogni loro domanda, ogni loro dubbio, ogni loro problema.
Prudenza. Per un’autentica comprensione dell’umano
Angela Ales Bello
L’esperienza della pandemia che stiamo vivendo in modo immediato e diretto ci pone di fronte al senso della vita. Questa si presenta come una minaccia di morte e l’essere umano non vuole sentir parlare della morte, normalmente e spontaneamente, ha paura della morte. Ma che cosa è la paura o la codardia come la chiama Shakespeare con linguaggio raffinato? Attraverso un’analisi fenomenologica della paura è possibile vedere come questa possa essere trasformata in “preoccupazione” che, orientata in modo positivo, porta ad assumere atteggiamenti prudenti. La prudenza in questi casi si dimostra veramente una virtù, in quanto implica il mettere fra parentesi la paura, per cercare il più realisticamente possibile di valutare gli effettivi pericoli al fine di evitarli, per il bene proprio e degli altri. La prudenza ci indica infatti la via dell’equilibrio e ci consente di vivere con responsabilità nei confronti di noi stessi e degli altri.
Responsabilità. La pandemia fra filosofia, scienza e politica
Emidio Spinelli
L’articolo vuole indagare il contributo che potrebbe venire dalle riflessioni dei filosofi nella lotta alla pandemia, che finora ha impegnato principalmente scienziati e medici. Tali riflessioni sono solo giochetti intellettuali, un divertissment da salotto o hanno la possibilità di far comprendere meglio la dimensione culturale determinata da questo tragico evento? La filosofia attraverso quella che Hans Jonas ne Il principio responsabilità chiamava l’“euristica della paura”, può promuovere una nuova moralità in grado di esercitare una forma di controllo e di bilanciamento nei confronti di possibili eccessi o sperequazioni della scienza, fondata su competenze sempre più raffinate. D’altro canto una filosofia animata dall’etica può richiamare la politica alle sue responsabilità, affinché non lasci più indietro nessuno, facendosi carico dei destini dell’umanità tutta intera.
Salute. Tra qualità assistenziale e responsabilità
Aldo Di Blasi
L’articolo analizza i due concetti chiave generalmente usati per descrivere la buona risposta assistenziale di un sistema organizzato e la sostenibilità del sistema stesso: Qualità e Responsabilità. L’Italia, che ha identificato il primo caso di contagio al di fuori della Cina, ha dovuto suo malgrado fare da apripista nei modelli di gestione dell’epidemia. L’organizzazione sanitaria decentrata del nostro paese, come la divisione delle politiche sanitarie tra i vari stati, ha accentuato le inefficienze di una gestione che al contrario fin da subito avrebbe dovuto avere un coordinamento centralizzato, finalizzato a prendere decisioni rapide per anticipare la diffusione del virus (la strategia da preferire in queste circostanze). Ma nella lotta all’epidemia sono fondamentali non solo i modelli di gestione, ma anche la presa di coscienza dell’importanza della responsabilità individuale, che passa per l’assunzione di quei comportamenti doverosi per favorire la salute pubblica, non contrapposti ai diritti personali, ma parte integrante del modello gestionale.
Sostenibilità. Una questione di etica sociale
Laura Moschini
I temi della sostenibilità e dell’ambiente sono oggi considerati prioritari negli obiettivi della strategia europea per un’efficace ripresa post pandemica che guardi anche alle future generazioni e al loro benessere. Se il primato delle tecnologie, e la digitalizzazione viene collegata con la sostenibilità, l’attenzione alla persona e alla sua felicità richiede un forte richiamo a un uso responsabile di esse e alla valutazione dei possibili impatti sulla vita dei singoli individui, delle comunità e della Terra stessa. Si tratta di una valutazione di carattere etico che può essere assicurata solo da un continuo rapporto tra i saperi, nella consapevolezza che molti e diversi sono gli aspetti da considerare, ma soprattutto si deve indagare il ‘senso’ della direzione verso cui stiamo andando.
Utopia. La passione del possibile
Francesca Brezzi
In un periodo, come nell’anno appena trascorso, in cui non è più dominante la speranza utopica, ma il segno della paura e il timore del futuro, emergono visioni apocalittiche secolari. L’articolo propone una rilettura critica delle categorie di utopia e speranza, una differente uso euristico di utopia, nell’individuazione di sentieri nuovi (Buber), in cui ritrovare l’interrogativo kantiano: cosa posso sperare? La domanda utopica recupera anche la dimensione cosmologica, ma soprattutto quella antropologica e teologica. Con l’aiuto di alcuni testi di A. Heller si mette a fuoco l’urgente impegno politico-intellettuale di “smascheramento” del presente stesso. Appare, pertanto, importante tornare a tematizzazione categorie utopiche quali quelle di verità come “attesa”, il «non ancora», il “malgrado” e il “sovrappiù”. Ultimo concetto da recuperare, necessario per noi persone smarrite del 2020, è quello della speranza come passione per il possibile.
Virus. Virosfera e comunità
Giacomo Marramao
Il nostro presente è un tempo di tempesta, tempo di rottura della “normalità”, tempo di interregno in cui, in attesa di concetti nuovi, proliferano le metafore. Virosfera è una di queste. L’A. ritiene necessario bandire dal nostro lessico categorie fuorvianti come “parentesi”, “interruzione” e simili. La radicalità e ampiezza della pandemia determina un punto di svolta tale da pregiudicare le stesse idee di cambiamento, progresso, innovazione come le abbiamo finora intese e praticate. La pandemia che stiamo vivendo non è dunque un “cigno nero”: un evento inatteso e imprevedibile e non è indipendente da noi. È un disastro prodotto da noi con alterazioni traumatiche nella natura, e che mette a nudo la nostra vulnerabilità. Da qui la parola-chiave è resilienza.