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Per un curioso paradosso storico-culturale, il secolo scorso è stato quello in cui forse mai come in passato il pensiero filosofico e la cultura in genere hanno teorizzato e anche inteso promuovere la libertà umana in tutti i suoi aspetti, ma allo stesso tempo è stato anche quello in cui la libertà umana è stata più profondamente messa in discussione nella comprensione filosofica e scientifica dell'uomo. Data la complessità di questo problema della cultura contemporanea, mi limiterò ad analizzare alcuni percorsi e linee che ci possono aiutare ad impostare il discorso sulla libertà in termini almeno generali.
Orizzonti della libertà. Taylor e l’eredità del moderno
Luigi Alici
La riflessione filosofica contemporanea sembra tornare a considerare il tema della libertà in termini diversi che nel passato: meno astrattamente rivendicativi, più attenti al complesso delle condizioni antropologiche e sociali che la rendono possibile. Quanto più lo spazio della discussione risulta decentrato in ambiti un tempo considerati periferici, tanto più sfuma l'aspro contrasto tra determinismo e indeterminismo che ha attraversato il pensiero moderno.
Il presupposto essenziale da cui nasce il tema del presente contributo (il rapposto tra libertà e comunità) è l'idea che la Modernità sia interpretabile attraverso la categoria di "immunizzazione", intesa come la pressante esigenza di conservazione della vita rispetto ai rischi che la minacciano.
Il paradigma dell’“epimeleia” e la critica dell’amore
Mariapaola Fimiani
Il contributo presenta una ricognizione del pensiero di Michel Foucault su temi quali il piacere, il desiderio, l'eros, che si incrociano inevitabilmente con i temi della libertà e dell'etica.
Libertà, responsabilità, ospitalità in Emmanuel Lévinas
Caterina Resta
La libertà è in questione. Ciò può voler dire che, soprattutto a partire dall'Età Moderna, il pensiero occidentale ha riconosciuto nella libertà la propria questione, quel concetto ineludibile, senza la cui interrogazione l'etica e la politica, in particolare, neppure sarebbero pensabili. Ma che la libertà sia in questione, può significare anche che essa, oggi, conclusasi una fase del Moderno, vada messa in questione, vale a dire in discussione.
La libertà tra uomo tecnologico e uomo contemplativo
Francesco Totaro
L'articolo intende discutere della libertà in rapporto alla connotazione essenziale dell'attività umana, rappresentata dalla relazione tra il fine e il mezzo. Agire liberamente implica la capacità di governare la sequenza tra fine e mezzo. La mancata connessione o la scissione tra i due elementi espone l'agire a una lacerazione o la priva della qualità, per dirla con Aristotele, di essere principio di se stesso.
L’Antigone di Kierkegaard. “Figlia della pena che ha per dote il dolore”
Francesca Brezzi
Nel presente saggio, ci si propone un compito limitato: le pagine kierkegaardiane, problematiche ma suggestive, consentono di focalizzare alcuni nodi tematici, quali i rapporti filosofia-tragedia-religione, due concetti tipicamente kierkegaardiani, come colpa e angoscia, per giungere al tema altamente problematico di una "responsabilità senza colpa".
La filosofia in Grecia sembra acquisire la sua configurazione prendendo le distanze dalla poesia e dalla tragedia, luoghi di raccolta di passioni ed emozioni, dove queste, fin da tempi remoti, avevano trovato la possibilità di venire alla parola. La poesia epica di Omero tratta delle passioni, e l'ira è stata considerata non a torto la prima parola della letteratura europea. L'ira era la linea che separava l'offesa dalla vendetta, ed era capace di reintegrare la dignità offesa dell'eroe. È l'ira che protegge dal rischio di essere asserviti ad altri. Così si comincia a strutturare la soggettività occidentale scissa tra la minaccia della morte e l'asservimento. Tutto ruota intorno alla questione di come si possa essere "liberi" e contemporaneamente vivere insieme ad altri che parimenti sono "liberi". In questo contesto sorgono e trovano spazio i problemi dell'umana convivenza e delle passioni.
L'esperienza dei limiti è un sacrificio di sé e del pensiero, una rinuncia alla totalità del senso e dell'essere che ci "dona" l'angoscia di un'esistenza dechireé, nocciolo di quella libertà difficile, impossibile e necessaria. Fare esperienza dei limiti è una decisione d'esistenza che è nell'insieme esperienza della libertà, del "fatto" della libertà.
Si parla sempre più spesso di "esperienza" della libertà, e si rinuncia a formularne una teoria, a concettualizzarla. Parlare della libertà non sembra infatti possibile in termini di essenza, di sostanza, di ideale regolativo; piuttosto, in termini di un vissuto che ciascuno sperimenta singolarmente, e tuttavia non nell'individualità isolata, ma nella relazione ad altri, nell'essere-in-comune che tiene insieme.
L'ermeneutica di Paul Ricœr si caratterizza per una qualità squisitamente "etica" del pensare, ove dunque l'alterità occupa fin dall'inizio un posto di rilievo, precludendo la possibilità di un'origine assoluta. Preclusione che, nel filosofare di Ricœur, si annuncia in molti modi e che conferisce alla trattazione quel carattere "frammentario" che egli riconosce alla sua opera.
Libertà e diritto in Hegel. La “Auseinandersetzung” di J. Ritter con la “Moralität” kantiana e la “Sittlichkeit” hegeliana
Elio Matassi
Nella visione di J. Ritter, la filosofia hegeliana viene collocata in una posizione mediana, centrale, tra restaurazione e rivoluzione. Se da un lato, infatti, la fuga romantica dalla realtà presume che il divino abbia perduto per sempre ogni potere sull'oggettività, dall'altro la rivoluzione politica dell'epoca ha messo in maniera definitiva in questione il significato stesso della tradizione metafisica e della sua verità.
L'accostamento delle nozioni di esistenza e libertà può essere la chiave privilegiata per accedere ai crocevia teorico-pratici del pensiero di Kierkegaard. Se l'esistenza precede – nel senso che produce – l'essenza, è allora ovvio che la categoria della libertà è quella che definisce lo statuto ontologico dell'esistenza, perlomeno dell'esistenza in quanto espressione della condizione dell'uomo relativa al suo essere nel mondo.
“L’uomo a una dimensione” tra repressione e utopia
Maria Teresa Pansera
L'uomo di Marcuse è un individuo ad una dimensione. Con questo termine, divenuto celebre e assunto durante gli anni della contestazione a simbolo della condizione umana nella società capitalista e tecnologicamente avanzata, l'autore vuole indicare la limitazione, la restrizione, l'uniformità, l'appiattimento che subiscono le facoltà umane, di per sé potenzialmente molto ricche, per opera di un potere repressivo che riduce, appunto, ogni espressione, comportamento, aspirazione e idea alla unidimensionalità.
Ci troviamo oggi in una dimensione di "complessità" che, da realtà sociale, diviene anche realtà cognitiva; e questa complessità, che rappresenta il nuovo paradigma culturale, pone l'attenzione sul tipo di interazione esistito nel passato tra pensiero ed azione e sulla sua nuova modalitò richiesta dal mondo che le vicende storiche e sociali hanno determinato.
Concezioni della libertà nell’“Atheismusstreit”. Fichte, Jacobi e Reinhold in dialogo
Pierluigi Valenza
La polemica sull'ateismo della filosofia di Fichte che scoppia nell'autunno del 1798 in conseguenza della pubblicazione del saggio Über den Grund unseres Glaubens an eine göttliche Weltgierung, sul quaderno VIII del «Philosophisches Journal», è certamente una controversia filosofica sull'esistenza di Dio, ma si può considerare in pari tempo e con pari importanza un confronto tra diverse posizioni sulla libertà e sul nesso da stabilire tra l'idea di libertà e l'idea di Dio.
L’interrogazione sul male e l’origine del totalitarismo in Hannah Arendt
Rosaria Di Donato
L'esperienza più completa della libertà, per Hannah Arendt, rappresenta la conditio sine qua non della vita umana, e risiede nell'azione, nella possibilità di agire che si attualizza in atti e discorsi. È per questo che il totalitarismo, caratterizzato dai fenomeni del lavoro servile e dei campi di concentramento, dalla totale negazione e distruzione della facoltà umana della libertà, è la manifestazione del "male" nel mondo, un male senza precedenti nella storia dell'umanità.
L’esiliato e l’apolide nel pensiero di María Zambrano e Hannah Arendt
Maria Mercede Ligozzi
Per María Zambrano il lungo periodo dell'esilio dalla Spagna, dal 1939 al 1984, è stato «qualcosa di sacro» di «ineffabile»; una «circostanza» alla quale non poteva rinunciare, perché l'esiliato è «una condizione ineludibile della vita umana». L'esiliato vive senza raggiungere uno «stare» e rimane ai margini della storia. Questa dimensione ontologica dell'esilio non appare dissimile da quella della riflessione politico-esistenziale di Hannah Arendt che la sua origine ebraica fu perseguitata dal nazismo e fuggì dalla Germania nel 1993. Per Arendt la condizione dell'apolide consiste nell'annullamento di qualsiasi diritto, che trasforma l'individuo in uomo generico, spoglio di ogni significato e privo dell'espressione e dell'azione.
La relazione con l’altro/a. Contributi della ricerca psicologica
Merete Amann Gainotti
L'obiettivo di questo breve intervento è di mostrare come il tema della relazione con l'altro/a, dal punto di vista psicologico, chiama in causa numerosi orientamenti della ricerca passata ed attuale, che spaziano dalla psicologia individuale alla psicologia dei gruppi, nella consapevolezza che nessuna di queste prospettive può, da sola, esaurire la complessità del problema, ma può contribuire a metterne in luce alcuni aspetti.
È possibile comunicare per immagini? Doppia problematica, che considera la complessità della comunicazione e, a un tempo, le possibilità e gli esiti del comunicare per immagini, nel caso specifico immagini filmiche. Nel contributo si cerca di capire che cosa renda possibile il fenomeno della comunicazione, che un ambito di "scienze" della comunicazione rischia di dimenticare, dandolo per implicito.