Allegretto Vivace. Omaggio a Bruna Donatelli

Allegretto Vivace. Omaggio a Bruna Donatelli
A cura di:  Francesco Fiorentino, Laura Santone
Editore: RomaTrE-Press
Data di pubblicazione: giugno 2021
Pagine: 288
ISBN: 979-12-5977-013-4
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Abstract

La nota fondamentale di questo volume, che un gruppo di amici e colleghi dedicano a Bruna Donatelli, è la questione dell’intermedialità, che i vari saggi in esso raccolti declinano in modi molteplici. Si parla dei tipi più diversi di riadattamento (dalla letteratura al cinema, al fumetto, al graphic novel, o anche dal saggio estetico alla sequenza cinematografica). Si analizza la scrittura etnografica come forma di «rimediazione», si propone l’analisi di fototesti come pure si scruta lo sguardo filmico di scrittori dell’era pre-cinematografica. Si riflette sugli intrecci tra parola e scrittura, oppure sulla critica d’arte come forma di scrittura intermediale. Si discute di censura, di fotografia metaforica e di processi di ricezione. Gli autori dei vari contributi fanno parlare scrittori e artisti i più diversi: si va da Lawrence Sterne a Lars von Trier, da Chateaubriand a Orwell, a Wagner, a Henry James, a Manuel Puig. Ma ci sono anche il fotografo George Tatge e l’antropologo Marcel Griaule, ci sono i registi della Nouvelle Vague, e poi Proust, Yves Bonnefoy, Boris Diop, e non da ultimo Flaubert, un autore molto amato e frequentato da Bruna Donatelli.

Contributi

Presentazione

Il coraggio e la libertà. Animal Farm: la costruzione del sociale e il mestiere della scrittura.

Angelo Arciero 

Imponendosi a un tempo come il luogo di convergenza dei diversi ambiti di indagine affrontati da Orwell nel corso della sua produzione e come la premessa delle raffigurazioni distopiche di Nineteen Eighty-Four, Animal Farm si condensa in una rinnovata indagine sui rapporti tra politica e letteratura. Attraverso l’introduzione di una serie di analisi complementari che coinvolgono il ruolo della tecnica, la diagnosi delle dinamiche rivoluzionarie, le relazioni tra crisi e utopia e i meccanismi della censura e dell’autocensura, Animal Farm si articola infatti su una sovrapposizione tra processi sociali e ruolo dello scrittore, portando in primo piano l’inscindibile binomio, intellettuale e artistico, tra il coraggio e una nozione di libertà strettamente correlata alle categorie della pluralità e dell’alterità.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/1

Le mini phototexte de Martine Aballéa

Elisa Bricco 

Il mini-fototesto è una tipologia di oggetto intermediale sviluppata da artisti e scrittori situati ai margini dei campi letterario e artistico. Questo studio si concentra sui mini-fototesti creati dall'artista Martine Aballéa, che sono stati esposti in installazioni e pubblicati in cataloghi. L'analisi di alcuni di questi oggetti ne dimostrerà l'alto potenziale narrativo che deriva dalla relazione tra le componenti testuali e visive, e che è messo in atto in svariati modi.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/02

Melancholia di Lars von Trier e il «Preludio» di Tristano e Isolda di Richard Wagner. Una relazione pericolosa?

Pier Carlo Bontempelli 

Il presente intervento parte dallo stretto rapporto esistente tra la teoria estetica di Richard Wagner e il cinema di Lars von Trier. Tale rapporto non si limita solo all’utilizzazione del Preludio del Tristano e Isolda come colonna sonora del film Melancholia (2011) ma si estende a una lettura dello stesso film che può essere visto come «una giungla di simboli» riconducibili in vario modo al compositore tedesco. Contro la tesi che vorrebbe Wagner e von Trier sostenitori di posizioni nichiliste e antilluministe tali da rendere impossibile ogni intervento politico, l’autore del saggio cerca di dimostrare che von Trier propone alla fine del suo film di vivere e affrontare la morte «comportandosi» bene di fronte alla catastrofe, secondo un’etica adatta a ricostituire forme elevate dello «stare insieme».

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/2

L’esperienza italiana di Manuel Puig: dal cinema alla letteratura

Camilla Cattarulla 

La narrativa dello scrittore argentino Manuel Puig (1932-1990) si caratterizza per il suo stretto rapporto con il cinema a livello tematico e formale. Arrivato a Roma nel 1956 per frequentare i corsi del Centro Sperimentale di Cinematografia, dopo un anno abbandona le proprie velleità professionali di diventare regista o sceneggiatore e, come lui stesso affermerà poi in diverse circostanze, grazie all’esperienza romana passa dal cinema alla letteratura quando, durante un secondo soggiorno romano nel 1961-62, accingendosi a scrivere una sceneggiatura, si ritrova con quello che sarà un capitolo del suo primo romanzo (La traición de Rita Haywoorth, 1968). La sua produzione comprende otto romanzi, ma anche sceneggiature cinematografiche, testi teatrali, saggi critici e racconti. Fra quest’ultimi spicca la raccolta Gli occhi di Greta Garbo (1991). Poco frequentati dalla critica, tali racconti, tutti, tranne l’ultimo, dedicati al cinema italiano, permettono a Puig da un lato di ricongiungersi con le proprie radici famigliari e, dall’altro, di incontrarsi di nuovo con lo studente di cinema che era stato negli anni cinquanta e che, nelle sue lettere alla famiglia, commentava incontri e film visti. Il saggio ripercorre l’esperienza italiana di Puig per poi concentrarsi sulla raccolta Gli occhi di Greta Garbo.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/4

Riscritture intermediali: l’autore come lettore

Dario Cecchi 

Il saggio si occupa della questione dell’adattamento cinematografico, considerandolo una forma esemplare di intermedialità. Per intermedialità non si intende solo l’accostamento di diversi formati mediali nel medesimo processo comunicativo (multimedia) o nella medesima opera d’arte (transmedialità); si intende invece la capacità di far dialogare diversi formati mediali allo scopo di arricchire l’esperienza del fruitore di nuove modalità di ricezione (sensibilità) e di nuovi strumenti di interpretazione (comprensione).

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/5

La pagina folle. Scrittura e immagine nell’arte schizofrenica

Francesco Fiorentino 

Il saggio presenta e analizza alcune opere di artiste e artisti schizofrenici, pazienti della clinica psichiatrica di Waldau e di altre cliniche psichiatrici tedesche. Si tratta di opere in cui la scrittura e l’immagine convivono in modi inusitati e la scrittura, lasciandosi alle spalle le sue dimensioni semantiche e le usuali attitudini comunicative, si trasforma essa stessa in immagine e disegno, oppure con essi si fonde.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/6

Les Beaux-Arts d’Italie dans les journaux d’Arnaud et Suard (1760-1766)

Eric Francalanza 

Diretti dall’abbé Arnaud e da Suard dal 1760 al 1766, il Journal étranger e la Gazette littéraire de l’Europe si caratterizzano per un'inedita prospettiva comparatistica: invece di sottoporre le opere alla sola critica francese, i direttori si avvalgono di collaboratori stranieri. A riprova di ciò, l'importanza accordata alle belle arti ed in particolare ai lavori editi in Italia. È qui che si può leggere il risultato delle scoperte archeologiche e un rinnovato interesse per le scuole e i modelli di pittura e scultura dell'Italia moderna.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/7

La Force du berger di Azouz Begag e Catherine Louis: il “terzo” istruito tra testo e immagine

Marina Geat 

La Force du berger, libro per bambini scritto da Azouz Begag e illustrato da Catherine Louis, è un esempio interessante del potere semiotico e educativo del concetto di “terzo istruito” elaborato dal filosofo Michel Serres. In un tragitto educativo, spiega Michel Serres, l'importante non è tanto il punto di partenza e il punto di approdo, quanto la trasformazione profonda e l'ibridazione che avviene durante il percorso tra l'uno e l'altro, un autentico cambiamento di senso (direzionale e semiotico al tempo stesso). La Force du berger mostra questa realizzazione fruttuosa di una “terzietà” a vari livelli che l’autore di questo studio analizza.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/8

«Elle l’appelait “Frédéric”, il l’appelait “Marie”»

Sophie Guermès 

I personaggi di Flaubert sono i rappresentanti di una generazione senza riferimenti perché senza «base teologica»: vivere costituisce per loro la difficoltà maggiore. Frédéric Moreau fallisce, come gli altri, nella sua vita sociale, ma trova un punto fermo in Madame Arnoux, ch’egli deifica. Questa passione lo guida, colma il vuoto delle sue giornate e lo aiuta a percorrere l'esistenza.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/9

Contro la melanconia: «The Beast in the Jungle» di Henry James, da François Truffaut a Patrice Leconte.

Donatella Izzo 

Il saggio affronta la ricezione intermediale del racconto di Henry James «The Beast in the Jungle» nel cinema francese della Nouvelle Vague e in quello successivo. Interrogandosi sulla funzione della citazione del racconto di James nel film di Patrice Leconte’s Confidences trop intimes (2004), il saggio la legge come il segnale di una doppia operazione intertestuale. Da un lato, il film di Leconte è una sofisticata appropriazione e riscrittura della storia originale; dall’altro lato, attraverso il riferimento a «The Beast in the Jungle», Confidences trop intimes a un tempo nasconde e rivela il proprio rapporto con il più celebre adattamento cinematografico del racconto jamesiano, La Chambre verte di François Truffaut.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/10

Sulla fotografia di George Tatge

Valerio Magrelli 

Medium ormai storicamente dotato di dignità artistica, la fotografia proietta la visione di un mondo – reale ed irreale, tangibile ed onirico – attraversato da reti di rinvii e corrispondenze, entrando in risonanza con l’universo interiore dell’osservatore, scuotendolo. Così come la metafora, trasposizione simbolica di immagini contrapposte, concede alle forme già conosciute nuove essenze. Il presente contributo propone una riflessione sull’operato di Tatge e sulla sua indagine rispetto alla cosiddetta fotografia metaforica.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/11

La Recherche en BD: Stéphane Heuet ri-scrive Proust

Silvia Masi 

Il presente lavoro ha come oggetto di studio l’analisi dell’adattamento in fumetto di un capolavoro indiscutibile del panorama letterario francese, À la recherche du temps perdu di Marcel Proust. In particolare, si intende porre l’attenzione sul modo in cui quest’immensa opera sia stata interpretata ed in seguito trasposta, ricorrendo ad un supporto così variegato, moderno e flessibile come la bande dessinée. In più, ci si propone di indagare l’approccio adottato dal fumettista Stéphane Heuet, realizzatore della serie, rispetto ai temi, ai linguaggi e all’essenza del testo proustiano. Il suo ambizioso contributo artistico, la cui ricezione è stata alquanto controversa, ha permesso all’immensa Cattedrale del Tempo di riergersi incontrastata e di conoscere un nuovo impulso grazie ad un inedito formato dall’elevata densità narrativa e visiva.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/12

«On le peut, je l’essaie: un plus savant le fasse». Le novità di un dizionario fraseologico inglese-francese, francese-inglese di metà ‘800

Stefania Nuccorini 

Il verso di La Fontaine, tratto da Contre ceux qui ont le goût difficile del 1668, è incluso come esergo nel frontespizio e ripetuto come motto ispiratore nella prefazione del secondo volume, francese-inglese, del Royal Phraseological English-French, French-English Dictionary, pubblicato nel 1849, quattro anni dopo il primo volume, inglese-francese. John Charles Tarver, l’autore del dizionario, docente di francese a Eton fin dal 1826, ne ha fatto un’opera innovativa nel panorama della lessicografia inglese-francese dell’epoca, basandosi sulla sua lunga esperienza didattica, sulla padronanza di entrambe le lingue e relative culture e, in particolare, sul riconoscimento del ruolo fondante della fraseologia nell’apprendimento e nell’uso effettivo di una lingua straniera. Al fine di mostrare la rilevanza del dizionario all’epoca e il suo ruolo innovativo, il contributo illustrerà il contesto in cui fu prodotto e analizzerà i tratti salienti delle combinazioni fraseologiche che ne costituiscono l’essenza e la loro modalità di presentazione in voci selezionate da entrambi i volumi.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/13

(G)Emma: dispositifs intermédiaux. Flaubert, Simmons, Fontaine

Florence Pellegrini 

In questo articolo vengono analizzate due trasposizioni contemporanee di Madame Bovary: Gemma Bovery, il romanzo grafico di Posy Simmonds (1999) e il suo adattamento cinematografico di Anne Fontaine (2014). Ci si interroga sul ruolo dell’originale e, più in generale, della letteratura patrimoniale nelle due storie. In un dispositivo che esibisce il riferimento e fa della precedenza e della fama del romanzo flaubertiano la condizione della sua stessa esistenza, i due adattamenti propongono, ciascuno per il proprio medium, una riflessione sul ruolo e sulla funzione del modello.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/14

Le chemin que l’on n’a pas pris. Yves Bonnefoy e il “progetto” della poesia all’incrocio delle arti

Simona Pollicino 

Da sempre le arti figurative intrecciano con la parola e la scrittura un dialogo fecondo nel quale ciascuna categoria si avvale dei propri strumenti retorici. L’approccio di Yves Bonnefoy, poeta e critico, non è propriamente riconducibile al principio dell’ekphrasis intesa in senso classico, poiché non descrive né illustra i significati, ma intende piuttosto “mostrare”, far vedere. Alle arti sorelle e ai loro sistemi di rappresentazione propri dell’ordine del “visibile” la poesia deve la capacità di restituire l’«existence effective» delle cose, che il linguaggio e i segni tendono a ottenebrare o a rimuovere. Nella sua ricerca estetica ed esistenziale, il poeta distingue un’altra direzione possibile ovvero stabilire una relazione nuova tra le parole e la realtà sensibile, un contatto con quell’hors-texte che va oltre i significati come pure sottende e motiva ogni aspirazione artistica.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/15

I turbamenti del giovane Chateaubriand

Aurelio Principato 

Nei Mémoires de ma vie di Chateaubriand, le emozioni del periodo infantile e adolescenziale sono più visibili che nella loro rielaborazione matura dei Mémoires d’outre-tombe. I ricordi di questo periodo sono molto legati al mondo di Combourg, in Bretagna, e al castello che suo padre vi aveva acquistato per ritrovarvi quanto era possibile recuperare del passato aristocratico della famiglia. Attraverso tre esempi, lo studio analizza come le immagini impresse nella memoria riaffiorino con modalità che possono far pensare a volta alle tecniche di inquadratura e di montaggio proprie del linguaggio cinematografico. Dopo avere distinto questo tipo di immagine da un uso più statico della descrizione, fra le tante che hanno reso famoso lo scrittore, il terzo esempio mostra come una singola visione scenica, collocata all’interno di un insieme di riflessioni psicologiche associabili all’età puberale, possa motivare lo sviluppo di queste appoggiandosi su richiami di vario tipo alle tematiche care all’autore. In conclusione, si intende suggerire come talune caratteristiche della narrazione memorialistica di Chateaubriand si prestino bene a una potenziale trasposizione cinematografica.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/16

La badessa di Andoüillets, la novizia Margarita, le due mule e il diavolo

Franca Ruggieri 

Il filo rosso che lega la sperimentazione formale all’origine del nuovo genere del novel nel Settecento al nuovo romanzo dell’“opera aperta”, è proprio la presenza del lettore all’interno del testo narrativo e il rapporto di interazione tra narratore e lettore che ne deriva. Nel Tristram Shandy, il lettore assume molteplici e mutevoli maschere. L’episodio della “abess of Andoüillet” è una digressione nella digressione, che, fin dalle prime battute, mette in evidenza l’ipocrisia sottaciuta nell’ostentazione di innocenza e armonia della comunità religiosa della abbazia e soprattutto delle due suore, in viaggio verso le terme. Le “two sinful words”, che dovrebbero far procedere le mule e mettere in salvo le due religiose, vengono spezzate ognuna in due frammenti monosillabici per ridurne la carica trasgressiva, ma i quattro frammenti non sembrano comunicare il senso delle due parole intere. Il diavolo/lettore sarà il solo in grado di ricomporre e interpretare l’unità del senso dei quattro frammenti, nella loro naturale dimensione di fisicità.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/17

Sulla traduzione/rimediazione: Dieu d’eau di Marcel Griaule

Laura Santone 

Partendo dalla nozione di « remediation » elaborata nel 1999 dai teorici americani J. D. Bolter e R. Grusin e trasferendola alla pratica della scrittura ci proponiamo, in questo articolo, di tornare alle note di terreno che a partire dagli anni ’30 l’antropologo Marcel Griaule raccolse nel corso delle sue spedizioni in Africa tra i Dogon al fine di indagare la maniera in cui l’immaginario del mito Dogon sia stato successivamente rimesso in scena, ovvero “rimediato”, nell’ambito di nuovi contesti di volgarizzazione e di nuove strutture enunciative, in particolare la guida del Routard del Mali e il film documentario di Jean Rouch.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/18

Interdiscours du mythe simiesque: Boubacar Boris Diop et La Planète des singes

Valentina Tarquini 

Lo studio propone una lettura intermediale dell’interdiscorso scimmiatico che trapela nei testi di Boubacar Boris Diop successivi all’esperienza di scrittura sul genocidio in Ruanda. La retorica della guerra fratricida tra etnie e le argomentazioni scientifiche risalenti al XIX secolo sulla vicinanza della razza nera alla scimmia rievocano un medesimo substrato razziologico, intriso di qualifiche morali. La tendenza a gerarchizzare razze e specie si trasforma in satira con Pierre Boulle, il quale, ne La Planète des singes (1963), prende di mira la vanità dell’uomo e la sua assurda vocazione belligerante. Dall’adattamento cinematografico che ne deriva nasce il primo sequel hollywoodiano, che riaccende regolarmente il dibattito sull’ideologia imperialista.

DOI: 10.13134/979-12-5977-013-4/19

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